Alla fine, è la storia la cosa più importante…

Alla fine, è la storia
la cosa più importante...

Se non riesco a far parlare i personaggi, allora rinuncio. Se sono io a far parlare tra loro i personaggi allora sono fandonie. Diventa eccitante quando un personaggio dice qualcosa e io penso: “Wow, ha detto proprio così? Non sapevo che avesse una moglie e la pensasse così!”. – Quentin Tarantino

È una pratica sempre più diffusa guardare un film o una serie televisiva e (stra)parlare immediatamente di capolavoro… e, purtroppo, anche chi scrive non è immune da questa pratica. Ma prima di usare paroloni così importanti, forse sarebbe il caso di porre maggiore attenzione su alcuni aspetti tecnici che rendono un episodio o una pellicola “perfetti”.
Partiamo dunque dalla fase di pre-produzione del prodotto: parliamo dunque di sceneggiatura.

Che cos’è una sceneggiatura?       
La sceneggiatura è un testo -originale o basato su altri testi- destinato ad essere girato o filmato, e quindi a passare dalla carta alla pellicola, diventando un film o una trasmissione radiotelevisiva.
Se ci seguite su Instagram (e se ancora non lo fate, cosa state aspettando? Vi aspettiamo!) saprete già dal nostro carosello di inizio agosto che esistono tre modelli di sceneggiatura: all’italiana, all’americana e alla francese. In ognuno di essi, a prescindere dal modello prescelto, ci sono alcuni elementi da inserire di cui non si può fare assolutamente a meno: la divisione in scene, la presenza di dialoghi e le descrizioni di luoghi (chiamate didascalie) e personaggi;

  1. Sceneggiatura all’italiana: il testo è diviso in due parti: a sinistra le didascalie, a destra i dialoghi. Si cambia pagina ad ogni cambio scena.
  2. Sceneggiatura all’americana: è il modello più utilizzato. Didascalie e dialoghi si trovano nella parte centrale del foglio; le didascalie ne occupano tutta la larghezza, mentre i dialoghi vengono disposti al centro, incorporati in un margine ridotto. Nomi di personaggi e intestazioni di scena scritti in maiuscolo. Le intestazioni di scena riportano il luogo in cui si svolge la scena, se questo si trova all’interno o all’esterno e se la scena si svolge di giorno o di notte. Il font in cui scrivere la sceneggiatura è obbligatoriamente il courier, dimensione 12.
  3. Sceneggiatura alla francese: in alto al centro le didascalie, in basso a destra i dialoghi.

Ma ora basta parlare degli aspetti tecnici! Passiamo dalla teoria alla pratica andando a illustrare (senza spoiler, ovviamente) tre episodi tratti da altrettante serie televisive che dimostrano quanto una buona sceneggiatura sia importante.
Le serie in questione sono diverse per genere, ma sono tutte e tre concluse (alcune da lungo tempo); ciò non toglie però che questi episodi siano rimasti negli annali, grazie soprattutto a una scrittura particolarmente eclatante- non a caso opera di tre geni dello screenwriting: Aaron Sorkin, Dan Fogelman e J.J. Abrams.

N.B.: Tutti i seguenti episodi sono a discrezione dell’autrice, che potrebbe scrivere intere dissertazioni su di essi (e sulle serie a cui appartengono) ma si tratterrà dal farlo per dignità.

West Wing, Due cattedrali – Episodio 22, Stagione 2 (1999-2006)

Premettendo che ogni singolo episodio delle prime quattro stagioni di questa serie è perfetto, se ne dovessi scegliere uno in particolare che spicchi per il livello di scrittura sarebbe sicuramente il finale della seconda stagione. Ideata e scritta (fino alla quarta stagione) da quel genio di Aaron Sorkin, la serie è ambientata tra lo Studio Ovale, gli uffici e i corridoi dell’ala ovest (la west wing, appunto) della Casa Bianca, e racconta le problematiche quotidiane, le decisioni pubbliche e private del Presidente e del suo staff.
Con un cast da far invidia ai blockbuster di Hollywood, Aaron Sorkin scrive un episodio geniale, che raggiunge il suo apice durante un monologo che il Presidente in carica (democratico e cattolico) scaglia contro Dio quando, a seguito di un improvviso lutto e alle prese con una serie di scelte che potrebbero cambiare il suo futuro, sente di non potersi più fidare del Dio in cui tanto crede.
Sorkin non risparmia colpi e, coadiuvato dalla fenomenale interpretazione di Martin Sheen, scrive un monologo pregno di rabbia e frustrazione, tanto originale (nella scelta, ad esempio, di chiudere il discorso con un’inveire in latino) quanto realistico, visto che chiunque abbia mai sofferto un lutto potrà rivedercisi. Il monologo inizia così: “You’re a son of a bitch, you know that?”.
Serve aggiungere altro?

  This is us, Il treno – Episodio 17, Stagione 06 (2016-2022)

Ambientato al capezzale di una donna chiave all’interno della narrazione, l’episodio si snoda su due binari: da un lato, la famiglia che cerca di farsi forza, dall’altro la donna in questione che affronta un viaggio tutto personale e molto particolare. Mentre, anziana, è bloccata a letto, una sua versione giovane viaggia a bordo di un treno immaginario sul quale, vagone dopo vagone, rivive i momenti salienti della sua vita, riflette su cosa è stato e su ciò che sarà, adesso che la sua vita volge al termine.
Non volendo fare nomi per non spoilerare una puntata che, personalmente, mi ha distrutto l’anima ma mi ha anche fatto tanto bene, l’unica cosa che posso dire è che la Hollywood Critics Association TV Awards ha riconosciuto a Dan Fogelman il premio per la miglior sceneggiatura di una serie drammatica.
Un episodio drammatico e pieno di sentimenti che lascia una sensazione a cui ancora non so dare un nome. Ciò che so per certo è che tra una lacrima e l’altra si assiste a un’ora di televisione che si avvicina alla perfezione.

-I spent my whole life worrying about them. Wondering what else I can do and now…
-There is nothing left to do, so you trust the process and you [enjoy your] drink.

Fringe, Un tulipano bianco – Episodio 18, Stagione 02 (2008-2013)

Una serie fantascientifica (per genere e scrittura) scritta da J.J. Abrams che si conferma uno di quegli sceneggiatori che potrebbe scrivere la lista della spesa e probabilmente vincerebbe un Emmy.
Si tratta di un episodio chiave, che risponde al primo grande interrogativo che la serie pone allo spettatore: il protagonista è davvero chi dice di essere? Paradossalmente però, l’episodio non rimane impresso per questo, ma per la delicatezza con cui gli autori trattano quelli che poi, si scoprirà, sono i temi portanti di questa serie: il rimorso, la genitorialità e il tema della dicotomia tra religione e scienza.
È un episodio in cui l’interpretazione di John Noble raggiunge livelli riproposti solo nel finale di serie (uno dei più belli di sempre, a mio modesto parere) e che, tra un mistero e l’altro, parla al cuore dello spettatore, risvegliando domande esistenziali, che poi non sono altro che il fil rouge dell’intera serie.

I read that dejà vu is fate’s way of telling you that you’re exactly where you’re supposed to be. That’s why you feel like you’ve been there before. You’re right in line with your own destiny.”

Da appassionata di serie quale sono, mi vengono in mente molti altri episodi (tratti da queste e altre serie) da poter aggiungere alla lista, ma non mi pare il caso di farsi prendere la mano.

Voi quali episodi aggiungereste a questa lista?

Personaggi non binari? We don’t know them.

Personaggi non binari?
We don't know them

Dall’enciclopedia Treccani:
“(non-binario) loc. agg.le Detto di persona che rifiuta lo schema binario maschile-femminile nel genere sessuale e, a prescindere dal sesso attribuito alla nascita, non riconosce di appartenere al genere maschile né a quello femminile. | Per estensione, detto di tutto ciò che si caratterizzi per il rifiuto dello schema binario del genere sessuale.”

Ma forse questo, almeno a titolo generale, lo sapevate già. In fin dei conti, il tema del literary è sempre più chiacchierato, e anche i media iniziano a trattare l’argomento in modo diversificato e, a tratti, davvero inclusivo. Se è vero però che, da un lato, fortunatamente, alcune minoranze stanno vedendo un incremento di rappresentazione nei media (si pensi, ad esempio, all’aumento di personaggi LGBTQIA+ che non solo compaiono più spesso nei prodotti audiovisivi, ma che ne sono addirittura protagonisti e non personaggi di contorno costruiti su meri stereotipi), ce ne sono altre che, purtroppo, ancora non vengono rappresentate come e quanto dovrebbero.

Prendendo ad esempio proprio il non binarismo, salta all’occhio l’evidente disparità numerica di personaggi non binari tra contenuti cinematografici e televisivi/seriali. Tra le numerose serie TV internazionali che presentano questi personaggi troviamo, tra le altre:

  • Feel Good (Netflix): Mae Martin (protagonista e ideatrice della serie)
  • The Umbrella Academy (Netflix): Klaus Hargreeves
  • Glee (Disney+): Wade “Unique” Adams
  • Sex Education (Netflix): Cal Bowman
  • Grey’s Anatomy (Disney+): Dott. Kai Bartley

La storia però si fa ben diversa se l’attenzione si sposta sul mondo del cinema, nazionale o internazionale poco importa. Il rapporto tra film prodotti ogni anno e il numero di personaggi non binari presenti è a dir poco scoraggiante, come dimostra una semplice ricerca online: a una prima occhiata, l’unico film citato che annoveri un personaggio non binario è “Elemental”, un film Disney Pixar del 2023 di cui Silvia ha già parlato anche nella nostra rubrica mensile di consigli cinematografici (RestART Consiglia).

Lo possiamo considerare un passo avanti nel processo di inclusione? Solo a metà.        
Sicuramente lo è se lo si guarda dal punto di vista della rappresentazione in senso ampio: per quanto breve sia la sua scena, pur sempre di rappresentazione si tratta; volenti o nolenti da qualche parte dobbiamo cominciare; quindi, perché non “leggere” questo personaggio come l’inizio di un’inversione di rotta da parte dell’industria cinematografica?        
Ma – e qui arriva la nota negativa – davvero non si poteva fare qualcosa di più? Se davvero l’idea è quella di arrivare a produrre film sempre più inclusivi, perché non presentare certi personaggi in più scene o, semplicemente, in scene che durino più di cinque secondi?         
Quando si dice “bene, ma non benissimo”.

E per rimanere in tema, cosa dire della stampa italiana che si ostina a “misgenderare“ (dall’inglese to misgender = indicare il genere sbagliato) quelle celebrità che si dichiarano non binarie?
Si prenda l’esempio di quanto è stato scritto di Ava Kai Hauser, voce originale proprio del personaggio non binario di “Elemental”, che ha annunciato di essere non binary e di voler usare il pronome they. Un organo della stampa italiana ha parlato di Kai usando queste parole: “L’attore statunitense Kai Ava Hauser, anch’egli non binario (usa il pronome “loro”) ha annunciato con grande entusiasmo […]”.

Premettendo che è vero che la lingua italiana non possiede un genere neutro e che quindi è difficile parlare di persone non binarie senza usare stratagemmi linguistici (come lo schwa), l’uso del maschile indiscriminato non è sicuramente la scelta giusta. A questo si aggiunga il riferimento all’uso del pronome “loro” e la frittata è fatta. È vero che loro è la traduzione dell’inglese they, ma è sempre caldamente consigliato – qualora non sia possibile aggirare il problema in altro modo – mantenere l’uso del pronome inglese invariato. Se invece il contesto lo permette, la soluzione ideale è sicuramente quella di rielaborare il testo in modo tale da utilizzare aggettivi invariabili e verbi alla forma attiva.

Insomma, di strada da fare ce n’è ancora molta, per non dire moltissima.
Sotto ogni punto di vista.
Rimane il fatto che bisogna pur partire da qualche parte.
Per ora ci accontentiamo (che brutta parola!), ma non durerà a lungo!

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