Il sottotitolaggio “per uso interno”

Il sottotitolaggio "per uso interno"

Chi di noi può affermare di non avere (almeno) un abbonamento, personale o condiviso, a una piattaforma streaming? Chi non hai guardato un film o una serie tv su una delle innumerevoli piattaforme (legali, si intende) che nel tempo sono entrate nelle nostre case? Eppure, non è passato poi così tanto da quegli anni (bui, direbbe qualcuno) in cui per poter vedere alcuni programmi non disponibili in Italia bisognava ricorrere a siti di dubbia legalità.

Se vi state chiedendo cosa c’entra questo preambolo col tema dell’articolo, bear with me e a breve capirete.

Era l’epoca di Megavideo (chi si ricorda “Sono veramente euforico”?), dei download da Emule (per gli hacker più esperti), e delle ore passate ad aspettare l’uscita di un episodio di serie tv o di anime con i sottotitoli in italiano, spesso prodotti da fansubber? Per chi come me era solito usare siti del genere, era anche l’epoca delle battute a suon di “ti immagini, in un universo parallelo, gli americani che aspettano ore davanti al PC per vedere una puntata con i sottotitoli in inglese di, che ne so, Elisa di Rivombrosa?”. Ed eccoci qua: a noi di Associazione RestART è successo davvero di dover produrre sottotitoli dall’italiano all’inglese di una produzione tutta italiana e per un pubblico (ristretto) di americani!

Se adesso invece vi state chiedendo cosa ci sia di strano in questo, visto che non si tratta di una situazione così rara, ve lo spiego subito. I nostri sottotitoli non erano destinati al “solito” festival cinematografico internazionale (come la Mostra del Cinema di Venezia o la Festa del Cinema di Roma), dove la sottotitolazione in lingua inglese viene infatti richiesta esplicitamente affinché il film possa entrare in gara, per poter garantire la comprensione anche a un pubblico internazionale. Questa volta erano destinati, citando il cliente stesso “a un uso interno”, termine a noi fino ad allora sconosciuto; a seguito di una nostra richiesta di chiarimenti (visto che non si smette mai di imparare), abbiamo quindi scoperto che si trattava di un tipo di lavorazione destinata ai produttori/ai dirigenti/a chi di dovere negli uffici di Disney in America.
Mi spiego meglio: quando piattaforme del genere hanno a che fare con produzioni non americane, viene richiesto che la società di produzione incaricata di occuparsi della lavorazione si preoccupi di fornire non soltanto il prodotto audiovisivo, ma anche -nel caso in cui il prodotto sia girato in una lingua diversa dall’inglese- dei sottotitoli, per così dire non ufficiali, così da garantire la comprensione anche al ristretto pubblico di dirigenti che poi dovranno dare il via libera alla messa in onda del prodotto stesso.

Una volta ultimato e completato il progetto, abbiamo aspettato mesi prima di poter parlare pubblicamente di questa lavorazione, ma nel mentre un dubbio si è insinuato dentro di noi: che fine hanno fatto i nostri sottotitoli? Dalla produzione ci avevano assicurato che non sarebbero stati utilizzati sulla piattaforma e che ci avrebbe pensato la stessa Disney+ a rilavorare i nuovi sottotitoli, ma ancora oggi non siamo totalmente certe che questo sia davvero avvenuto e, purtroppo, non siamo riuscite ad avere riscontro da nessuno sull’argomento.

E qui si apre quindi una nuova questione: non sarebbe giusto iniziare a pensare di trovare un modo per poter tutelare anche le sottotitolazioni come già accade per l’adattamento dialoghi al fine di garantire quanto meno la paternità dell’opera? 

Vedremo se e come si evolverà la questione nei prossimi anni… 

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