Alla fine, è la storia la cosa più importante…

Alle fine, è la storia
la cosa più importante...

Se non riesco a far parlare i personaggi, allora rinuncio. Se sono io a far parlare tra loro i personaggi allora sono fandonie. Diventa eccitante quando un personaggio dice qualcosa e io penso: “Wow, ha detto proprio così? Non sapevo che avesse una moglie e la pensasse così!”. – Quentin Tarantino

È una pratica sempre più diffusa guardare un film o una serie televisiva e (stra)parlare immediatamente di capolavoro… e, purtroppo, anche chi scrive non è immune da questa pratica. Ma prima di usare paroloni così importanti, forse sarebbe il caso di porre maggiore attenzione su alcuni aspetti tecnici che rendono un episodio o una pellicola “perfetti”.
Partiamo dunque dalla fase di pre-produzione del prodotto: parliamo dunque di sceneggiatura.

Che cos’è una sceneggiatura?       
La sceneggiatura è un testo -originale o basato su altri testi- destinato ad essere girato o filmato, e quindi a passare dalla carta alla pellicola, diventando un film o una trasmissione radiotelevisiva.
Se ci seguite su Instagram (e se ancora non lo fate, cosa state aspettando? Vi aspettiamo!) saprete già dal nostro carosello di inizio agosto che esistono tre modelli di sceneggiatura: all’italiana, all’americana e alla francese. In ognuno di essi, a prescindere dal modello prescelto, ci sono alcuni elementi da inserire di cui non si può fare assolutamente a meno: la divisione in scene, la presenza di dialoghi e le descrizioni di luoghi (chiamate didascalie) e personaggi;

  1. Sceneggiatura all’italiana: il testo è diviso in due parti: a sinistra le didascalie, a destra i dialoghi. Si cambia pagina ad ogni cambio scena.
  2. Sceneggiatura all’americana: è il modello più utilizzato. Didascalie e dialoghi si trovano nella parte centrale del foglio; le didascalie ne occupano tutta la larghezza, mentre i dialoghi vengono disposti al centro, incorporati in un margine ridotto. Nomi di personaggi e intestazioni di scena scritti in maiuscolo. Le intestazioni di scena riportano il luogo in cui si svolge la scena, se questo si trova all’interno o all’esterno e se la scena si svolge di giorno o di notte. Il font in cui scrivere la sceneggiatura è obbligatoriamente il courier, dimensione 12.
  3. Sceneggiatura alla francese: in alto al centro le didascalie, in basso a destra i dialoghi.

Ma ora basta parlare degli aspetti tecnici! Passiamo dalla teoria alla pratica andando a illustrare (senza spoiler, ovviamente) tre episodi tratti da altrettante serie televisive che dimostrano quanto una buona sceneggiatura sia importante.
Le serie in questione sono diverse per genere, ma sono tutte e tre concluse (alcune da lungo tempo); ciò non toglie però che questi episodi siano rimasti negli annali, grazie soprattutto a una scrittura particolarmente eclatante- non a caso opera di tre geni dello screenwriting: Aaron Sorkin, Dan Fogelman e J.J. Abrams.

N.B.: Tutti i seguenti episodi sono a discrezione dell’autrice, che potrebbe scrivere intere dissertazioni su di essi (e sulle serie a cui appartengono) ma si tratterrà dal farlo per dignità.

West Wing, Due cattedrali – Episodio 22, Stagione 2 (1999-2006)

Premettendo che ogni singolo episodio delle prime quattro stagioni di questa serie è perfetto, se ne dovessi scegliere uno in particolare che spicchi per il livello di scrittura sarebbe sicuramente il finale della seconda stagione. Ideata e scritta (fino alla quarta stagione) da quel genio di Aaron Sorkin, la serie è ambientata tra lo Studio Ovale, gli uffici e i corridoi dell’ala ovest (la west wing, appunto) della Casa Bianca, e racconta le problematiche quotidiane, le decisioni pubbliche e private del Presidente e del suo staff.
Con un cast da far invidia ai blockbuster di Hollywood, Aaron Sorkin scrive un episodio geniale, che raggiunge il suo apice durante un monologo che il Presidente in carica (democratico e cattolico) scaglia contro Dio quando, a seguito di un improvviso lutto e alle prese con una serie di scelte che potrebbero cambiare il suo futuro, sente di non potersi più fidare del Dio in cui tanto crede.
Sorkin non risparmia colpi e, coadiuvato dalla fenomenale interpretazione di Martin Sheen, scrive un monologo pregno di rabbia e frustrazione, tanto originale (nella scelta, ad esempio, di chiudere il discorso con un’inveire in latino) quanto realistico, visto che chiunque abbia mai sofferto un lutto potrà rivedercisi. Il monologo inizia così: “You’re a son of a bitch, you know that?”.
Serve aggiungere altro?

  This is us, Il treno – Episodio 17, Stagione 06 (2016-2022)

Ambientato al capezzale di una donna chiave all’interno della narrazione, l’episodio si snoda su due binari: da un lato, la famiglia che cerca di farsi forza, dall’altro la donna in questione che affronta un viaggio tutto personale e molto particolare. Mentre, anziana, è bloccata a letto, una sua versione giovane viaggia a bordo di un treno immaginario sul quale, vagone dopo vagone, rivive i momenti salienti della sua vita, riflette su cosa è stato e su ciò che sarà, adesso che la sua vita volge al termine.
Non volendo fare nomi per non spoilerare una puntata che, personalmente, mi ha distrutto l’anima ma mi ha anche fatto tanto bene, l’unica cosa che posso dire è che la Hollywood Critics Association TV Awards ha riconosciuto a Dan Fogelman il premio per la miglior sceneggiatura di una serie drammatica.
Un episodio drammatico e pieno di sentimenti che lascia una sensazione a cui ancora non so dare un nome. Ciò che so per certo è che tra una lacrima e l’altra si assiste a un’ora di televisione che si avvicina alla perfezione.

-I spent my whole life worrying about them. Wondering what else I can do and now…
-There is nothing left to do, so you trust the process and you [enjoy your] drink.

Fringe, Un tulipano bianco – Episodio 18, Stagione 02 (2008-2013)

Una serie fantascientifica (per genere e scrittura) scritta da J.J. Abrams che si conferma uno di quegli sceneggiatori che potrebbe scrivere la lista della spesa e probabilmente vincerebbe un Emmy.
Si tratta di un episodio chiave, che risponde al primo grande interrogativo che la serie pone allo spettatore: il protagonista è davvero chi dice di essere? Paradossalmente però, l’episodio non rimane impresso per questo, ma per la delicatezza con cui gli autori trattano quelli che poi, si scoprirà, sono i temi portanti di questa serie: il rimorso, la genitorialità e il tema della dicotomia tra religione e scienza.
È un episodio in cui l’interpretazione di John Noble raggiunge livelli riproposti solo nel finale di serie (uno dei più belli di sempre, a mio modesto parere) e che, tra un mistero e l’altro, parla al cuore dello spettatore, risvegliando domande esistenziali, che poi non sono altro che il fil rouge dell’intera serie.

I read that dejà vu is fate’s way of telling you that you’re exactly where you’re supposed to be. That’s why you feel like you’ve been there before. You’re right in line with your own destiny.”

Da appassionata di serie quale sono, mi vengono in mente molti altri episodi (tratti da queste e altre serie) da poter aggiungere alla lista, ma non mi pare il caso di farsi prendere la mano.

Voi quali episodi aggiungereste a questa lista?

Personaggi non binari? We don’t know them.

Personaggi non binari?
We don't know them

Dall’enciclopedia Treccani:
“(non-binario) loc. agg.le Detto di persona che rifiuta lo schema binario maschile-femminile nel genere sessuale e, a prescindere dal sesso attribuito alla nascita, non riconosce di appartenere al genere maschile né a quello femminile. | Per estensione, detto di tutto ciò che si caratterizzi per il rifiuto dello schema binario del genere sessuale.”

Ma forse questo, almeno a titolo generale, lo sapevate già. In fin dei conti, il tema del literary è sempre più chiacchierato, e anche i media iniziano a trattare l’argomento in modo diversificato e, a tratti, davvero inclusivo. Se è vero però che, da un lato, fortunatamente, alcune minoranze stanno vedendo un incremento di rappresentazione nei media (si pensi, ad esempio, all’aumento di personaggi LGBTQIA+ che non solo compaiono più spesso nei prodotti audiovisivi, ma che ne sono addirittura protagonisti e non personaggi di contorno costruiti su meri stereotipi), ce ne sono altre che, purtroppo, ancora non vengono rappresentate come e quanto dovrebbero.

Prendendo ad esempio proprio il non binarismo, salta all’occhio l’evidente disparità numerica di personaggi non binari tra contenuti cinematografici e televisivi/seriali. Tra le numerose serie TV internazionali che presentano questi personaggi troviamo, tra le altre:

  • Feel Good (Netflix): Mae Martin (protagonista e ideatrice della serie)
  • The Umbrella Academy (Netflix): Klaus Hargreeves
  • Glee (Disney+): Wade “Unique” Adams
  • Sex Education (Netflix): Cal Bowman
  • Grey’s Anatomy (Disney+): Dott. Kai Bartley

La storia però si fa ben diversa se l’attenzione si sposta sul mondo del cinema, nazionale o internazionale poco importa. Il rapporto tra film prodotti ogni anno e il numero di personaggi non binari presenti è a dir poco scoraggiante, come dimostra una semplice ricerca online: a una prima occhiata, l’unico film citato che annoveri un personaggio non binario è “Elemental”, un film Disney Pixar del 2023 di cui Silvia ha già parlato anche nella nostra rubrica mensile di consigli cinematografici (RestART Consiglia).

Lo possiamo considerare un passo avanti nel processo di inclusione? Solo a metà.        
Sicuramente lo è se lo si guarda dal punto di vista della rappresentazione in senso ampio: per quanto breve sia la sua scena, pur sempre di rappresentazione si tratta; volenti o nolenti da qualche parte dobbiamo cominciare; quindi, perché non “leggere” questo personaggio come l’inizio di un’inversione di rotta da parte dell’industria cinematografica?        
Ma – e qui arriva la nota negativa – davvero non si poteva fare qualcosa di più? Se davvero l’idea è quella di arrivare a produrre film sempre più inclusivi, perché non presentare certi personaggi in più scene o, semplicemente, in scene che durino più di cinque secondi?         
Quando si dice “bene, ma non benissimo”.

E per rimanere in tema, cosa dire della stampa italiana che si ostina a “misgenderare“ (dall’inglese to misgender = indicare il genere sbagliato) quelle celebrità che si dichiarano non binarie?
Si prenda l’esempio di quanto è stato scritto di Ava Kai Hauser, voce originale proprio del personaggio non binario di “Elemental”, che ha annunciato di essere non binary e di voler usare il pronome they. Un organo della stampa italiana ha parlato di Kai usando queste parole: “L’attore statunitense Kai Ava Hauser, anch’egli non binario (usa il pronome “loro”) ha annunciato con grande entusiasmo […]”.

Premettendo che è vero che la lingua italiana non possiede un genere neutro e che quindi è difficile parlare di persone non binarie senza usare stratagemmi linguistici (come lo schwa), l’uso del maschile indiscriminato non è sicuramente la scelta giusta. A questo si aggiunga il riferimento all’uso del pronome “loro” e la frittata è fatta. È vero che loro è la traduzione dell’inglese they, ma è sempre caldamente consigliato – qualora non sia possibile aggirare il problema in altro modo – mantenere l’uso del pronome inglese invariato. Se invece il contesto lo permette, la soluzione ideale è sicuramente quella di rielaborare il testo in modo tale da utilizzare aggettivi invariabili e verbi alla forma attiva.

Insomma, di strada da fare ce n’è ancora molta, per non dire moltissima.
Sotto ogni punto di vista.
Rimane il fatto che bisogna pur partire da qualche parte.
Per ora ci accontentiamo (che brutta parola!), ma non durerà a lungo!

Il doppiaggio italiano: l’inizio

Il doppiaggio italiano: l'inizio

*cough cough* Allora… l’autrice vorrebbe mettere le mani avanti e annunciare che l’intento dell’articolo in questione vuole essere quello di raccontare gli inizi del doppiaggio italiano (immagino che il titolo fosse un indizio notevole, ma non si può mai essere troppo previdenti) e non quello di ammorbare con una lezione sulla storia del cinema. Con la speranza di essere riuscita a raggiungere l’obiettivo, diamo il via alle danze.

Come spesso accade, per poter parlare di un argomento, dobbiamo prima però fare un salto indietro nel tempo e fare un pit stop ai tempi del cinema muto: all’epoca, la comprensione del film era affidata alla gestualità e alla mimica degli attori e alle didascalie che comparivano tra una scena e l’altra per “dare voce” agli attori in scena.
Questi cartelli con poche e semplici righe di testo non sono altro che precursori di quelli che conosciamo come sottotitoli e, esattamente come nel sottotitolaggio moderno, potevano essere tradotti da una lingua all’altra in base al Paese in cui il film veniva distribuito.

Poi, all’inizio del XX secolo, il cinema viene rivoluzionato dall’arrivo del sonoro, un vero e proprio evento spartiacque nella storia della settima arte, che, come tutte le novità che sconvolgono, non viene inizialmente vista di buon’occhio; ecco perché molti Paesi iniziarono a imporre restrizioni ai film provenienti dall’estero. Per quanto riguarda l’Italia, il 1929 segna la prima messa al bando da parte del regime fascista di tutti i film non in italiano, una decisione presa allo scopo di tutelare gli interessi della cinematografia nazionale. Così, per correre ai ripari e garantire la distribuzione ovunque, le case di produzione internazionali (e in particolare americane) trovano due possibili soluzioni:

  • girare più versioni di una pellicola: usando lo stesso set, ma diversi cast, la pellicola viene girata più volte;
  • realizzare il doppiaggio del film: gli attori americani si auto-doppiano in lingua italiana. La prima casa a pensare a questa soluzione fu la Fox che, nel 1929, realizzò la pellicola “Maritati a Hollywood”, un film che purtroppo ci è arrivato incompleto; la prima pellicola completa doppiata risale invece a tre anni dopo, quando la Metro Goldwyn Meyer fa doppiare, sempre da attori italoamericani, il film “Carcere”.

Entrambe queste soluzioni non riscontrano però il favore del pubblico, eccezion fatta per il successo riportato dalle pellicole di Stanlio e Ollio,  che grazie alla comicità delle loro gag e all’accento italoamericano con il quale si auto-doppiano i protagonisti, scatenano l’ilarità nel pubblico italiano.

Oltretutto queste tecniche sono molte costose e, quando vengono messe al bando, le case di produzione passano definitivamente al doppiaggio: l’avanzamento della tecnologia, infatti, adesso permette di cambiare la colonna sonora senza dover rigirare tutto il film. Il doppiaggio viene dapprima affidato ad aziende interne alla stessa Hollywood, e poi in seguito a professionisti nel Paese in cui si intende distribuire il film; la casa di distribuzione Paramount decide quindi di aprire uno stabilimento di doppiaggio a Joinville, in Francia, nel quale doppiare film destinati alla distribuzione in Italia, ma anche in Germania, Francia, ecc. Questa decisione della casa americana viene inizialmente apprezzata anche nel Bel Paese, tant’è che il regime fascista accetta di mandare attori italiani (e in particolare teatrali) a doppiare.
La musica cambia però nel 1932 quando viene pubblicato un regio decreto che vieta la distribuzione di pellicole la cui sincronizzazione non sia avvenuta in territorio italiano; nasce così il primo stabilimento di doppiaggio presso la Cines-Pittaluga, considerata la migliore e più potente società cinematografica dell’inizio degli anni ’30. La direzione viene affidata all’esperto Mario Almirante, il quale sceglie attori teatrali dalla dizione pulita e tecnici con molta esperienza, tra i quali anche dialoghisti adattatori. Nel corso degli anni, poi, nascono ulteriori stabilimenti quali, tra gli altri, Fotovox e Fonoroma.

Il doppiaggio si rivela una scelta azzeccata, che riscontra il favore del pubblico, il quale essendo a maggioranza analfabeta, faticava (quando riusciva) a leggere le didascalie. Tuttavia, il primo stile di doppiaggio italiano è ben lontano da quello che adesso risuona nelle nostre case in quanto viene fatto “nel pieno rispetto della pronuncia romano-fiorentina [e con] l’adozione di un lessico decorosamente medio e largamente comprensibile”. Questa stasi della lingua del doppiaggio rimarrà fino, all’incirca, agli anni ’70, quando l’italiano doppiato si farà meno compassato e più aperto a sfumature e dialetti, adeguandosi così alla ricchezza e alla varietà del parlato del film originale, perché, citando Federico Fellini, uno dei più grandi del cinema nostrano, “il doppiaggio è come una seduta spiritica; i doppiatori sono dei medium che daranno un’identità a quelle ombre”.

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Non piove da giorni, eppure in tutto il mondo è un tripudio di arcobaleni!

Se non lo sapeste e vi steste chiedendo di cosa parlo, giugno è il mese in cui si festeggia l’orgoglio LGBTQIA+ 🏳️‍🌈🏳️‍⚧️

Nel giugno del 1969, infatti, dopo l’ennesima ingiustificata retata in un locale LGBTQIA+ di New York, la comunità queer decise di scendere in piazza per dire basta ai soprusi da parte delle forze dell’ordine e della società, rivendicando il diritto a esistere e a vivere in pace le proprie vite.

Questo mese, sulla scia del pride month, abbiamo deciso di portare questa tematica anche nella nostra rubrica cinematografica, consigliandovi due titoli molto diversi per genere e target, ma accomunati dalla tematica queer.

Silvia consiglia: “Disclosure” (2020)
Regia: Sam Feder 
Con: Laverne Cox, Jamie Clayton, Chaz Bono, MJ Rodriguez, Brian Michael Smith, Lilly Wachowski, Angelica Ross 
Genere: Documentario 
Durata: 1h40 minuti
Doppiaggio: Non disponibile
Sottotitoli: Disponibili

Trama: Il racconto della storia della (limitata) rappresentazione trans nel cinema, dai film muti alla serie TV Pose del 2018, attraverso le parole di attori e attrici transgender che raccontano cos’è e cosa significa per loro l’industria cinematografica, sia come membri dell’industria stessa sia come utenti.

Lo consiglio perché: Spesso, nel dibattito pubblico, quando si parla di minoranze o comunità discriminate, il dibattito viene portato avanti dalle classi più “in vista” e privilegiate, che si arrogano il diritto di discutere dei diritti altrui senza lasciare spazio alle persone direttamente interessate. In questo documentario, invece, la parola viene lasciata direttamente alle persone trans, che ci raccontano in modo semplice, personale ed estremamente diretto il loro punto di vista sulla narrazione mediatica che viene portata avanti nei riguardi della loro comunità writing su come questa narrazione is sia evoluta negli anni, costringendoci a farci delle domande e a guardare i prodotti audiovisivi con una percezione diversa e più inclusiva. 

Trailer: Disclosure (Trailer ENG)
Disponibile su: Netflix

Arianna consiglia: “Tuo, Simon” (2018) 
Regia: Greg Berlanti
Con: Nick Robinson, Katherine Langford, Keiynan Lonsdale, Jennifer Garner
Genere: Commedia/Romantico 
Durata: 1h50 minuti
Doppiaggio: Tuo, Simon

Trama: Simon è un adolescente come gli altri: ha una famiglia che gli vuole bene e un gruppo di amici straordinari. Il ragazzo ha però un segreto che non riesce a confessare a nessuno: è gay. Un giorno però inizia un appassionante scambio di mail con un altro studente della sua scuola, che vuole rimanere anonimo. Ma all’improvviso il suo segreto rischia di essere rivelato…

Lo consiglio perché: nella semplicità della sua trama, questo è un film che racconta perfettamente (ai ragazzi, ma non solo) cosa significa essere un adolescente alla scoperta di sé. Per di più, cosa più unica che rara, la pellicola ci mostra un coming out non segnato da tragedie personali e familiari, ma soltanto da tanta incertezza per quello che aspetta il protagonista una volta che avrà rivelato il proprio segreto. Semplice eppure di impatto, leggero ma a tratti profondo: un film equilibrato che – se siete empatici come me – vi farà piangere lacrime liberatorie. 

Trailer: Tuo, Simon

Disponibile su: Netflix, Disney+

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Eccoci tornate con un nuovo appuntamento della nostra rubrica di consigli cinematografici. Per chi ci leggesse per la prima volta, vi informiamo che questi non vogliono in alcun modo essere consigli “da critici cinematografici”, ma dei semplici e spassionati suggerimenti da parte di persone che amano il cinema.
Questo mese, sulla scia dei David di Donatello, che all’inizio di maggio hanno celebrato i successi del cinema italiano, abbiamo deciso di proporvi due titoli made in Italy:

Arianna consiglia: “Io, noi e Gaber” (2023)

Regia: Riccardo Milani
Con: Claudio Bisio, Gino & Michele, Paolo Jannacci, Jovanotti, Mogol, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani 
Genere: Documentario 
Durata: 2h15 minuti 

Trama: Un documentario, un ritratto di Giorgio Gaber. La vita e la carriera dell’interprete milanese raccontate dalla famiglia, dagli amici e da chi a lui si ispira ancora oggi. Un viaggio culturale, politico e filosofico dell’Italia che fu (e forse ancora un po’ è), fatto di decine di spezzoni delle sue apparizioni televisive e dei suoi spettacoli teatrali.   

Lo consiglio perché… “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, quante volte ci è capitato di pensare una cosa simile, davanti a eventi più o meno lieti? A parer mio, questo non è documentario, ma un vero e proprio viaggio nella storia italiana, raccontata attraverso le canzoni del Signor G e le voci di tutti coloro che lo hanno conosciuto. Due ore e quindici all’insegna della musica di Gaber e di quella sua visione del mondo che così bene ha saputo raccontare l’Italia e gli italiani. 

Trailer: Io, noi e Gaber
Disponibile su: RaiPlay

Silvia consiglia: Smetto quando voglio” (2014)
 
Regia: Sydney Sibilia 
Con: Leonardo Leo, Valerio Aprea, Stefano Fresi, Pietro Sermonti, Libero De Rienzo, Lorenzo Lavia, Paolo Calabresi, Valeria Solarino, Neri Marcorè 
Genere: Commedia / Crime 
Durata: 1h45 minuti

Trama: Roma, giorni nostri. Pietro Zinni, brillante ricercatore universitario, viene licenziato a causa dei tagli all’università. Frustrato dalla precarietà del lavoro universitario e stanco di vedere le sue ricerche bistrattate, raduna alcuni colleghi/amici di diversi settori accademici (anche loro precari, costretti a lavorare in condizioni avvilenti) e mette su una squadra che, grazie ai talenti di ognuno, inizia a produrre e spacciare una droga intelligente.

Lo consiglio perché… Chi, barcamenandosi tra la burocrazia, università e difficoltà lavorative, non ha mai pensato (ironicamente) “Se spacciassi vivrei meglio”? “Smetto quando voglio” dà vita a quell’idea in modo leggero e divertente, che “gioca” con le difficoltà di laureati e ricercatori nel nostro Paese, portandola un po’ all’assurdo. È un film divertente, con un cast perfetto, ottimo da vedere in compagnia, e che personalmente mi tira sempre su di morale. 

Trailer: Smetto quando voglio
Disponibile su: Netflix, RaiPlay

Adattamento dialoghi e doppiaggio: croce e delizia del cinema!

Adattamento dialoghi e doppiaggio:
croce e delizia del cinema!

Come avrete avuto modo di notare dai nostri social (ci seguite, vero?), abbiamo dedicato questo mese alla voce, alla giornata mondiale che la celebra e -in senso più ampio- al doppiaggio; ed è proprio su questo settore che vogliamo tornare a concentrarci, dedicando l’articolo di aprile all’adattamento dialoghi. Tuttavia, piuttosto che tediarvi con un articolo lungo e forse troppo tecnico, abbiamo deciso di proporvi un assortimento di doppiaggi (e talvolta di brevi esempi da essi tratti) con i quali vi dimostreremo quanto il lavoro del dialoghista adattatore sia al contempo importante e difficile: al netto della scelta delle voci dei doppiatori, il successo o meno di un prodotto può dipendere anche quasi interamente dalle trovate creative del dialoghista che, quando si rivelano azzeccate, possono addirittura andare a migliorare il prodotto di partenza. 

A questo proposito, vi è mai capitato di guardare  Le Follie dell’Imperatore in lingua originale? Vi sarete presto accorti che in inglese il film raramente riesce a causare ilarità nello spettatore, mentre in italiano è un concentrato di risate; questo grazie al doppiaggio, oltre a un adattamento che non adatta mai veramente ma stravolge l’originale. (Nota personale: un grazie di cuore a chiunque abbia avuto la geniale idea di accostare a grandi voci come Adalberto Maria Merli quelle di attori come Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Anna Marchesini. Quando si dice “una scelta che paga”!)

A volte invece, purtroppo aggiungerei, la scelta delle voci viene operata pensando solo alla velocità di lavorazione e ai costi. E si vede… anzi si sente! È il caso del film L’altra metà, uscito su Netflix nel 2020, e diventato immediatamente virale per la bruttezza del doppiaggio italiano. Complice infatti la pandemia, Netflix decise di far doppiare il film in italiano a persone italo-americane che, evidentemente, aveva in quel momento a disposizione in loco ed ecco così spiegata la presenza di un musicista e di un registra tra i “doppiatori” della prima versione del film. Fortunatamente, facendo seguito alle lamentele degli spettatori italiani, il 14 maggio di quello stesso anno il film è stato ricaricato sulla piattaforma con un doppiaggio ad opera di doppiatori professionisti.

E se parliamo di voci e doppiaggi, come non citare un assoluto capolavoro del doppiaggio italiano a opera di Maldesi e De Leonardis, ovvero Gli Aristogatti? Questa pellicola Disney è un esempio di adattamento praticamente perfetto: dalla scelta di far parlare gli animali con diversi dialetti (i cani da guardia Napoleone e Lafayette parlano milanese, mentre il protagonista Romeo er mejo der Colosseo parla ovviamente romano) all’adattamento dei nomi. Sia chiaro, quest’ultimo aspetto non è una scelta operata dall’adattatore, ma era all’epoca una politica Disney: i cartoni animati andavano adattati il più possibile al Paese in cui poi sarebbero stati trasmessi. Così, per assicurarsi che funzionassero per il pubblico italiano, si è andati a operare un adattamento anche dei nomi, anche se soltanto per quanto concerne gli animali. Così, solo per citarne alcuni, i tre gattini protagonisti hanno cambiato nome da Marie, Toulose e Berlioz in Minou, Matisse e Bizet e il motivo è molto semplice: si è scelto di sostituire i riferimenti originali alla regina Maria Antonietta, al pittore Toulose-Lautrec e al compositore Hector Berlioz in quanto si è ritenuto che potessero essere troppo oscuri per il pubblico italiano, preferendogli riferimenti ritenuti molto più chiari. Nel caso invece delle oche così belle da sembrare cigni (semicit.) Abigail e Amelia, si è scelto di modificarne i nomi, sostituendoli con due nomi ideali -nell’immaginario collettivo- per due zitelle incallite: Adelina e Guendalina; anche il cognome delle due non è casuale: visto infatti che l’originale Gobble rimanda all’onomatopea tipica dell’animale che starnazza nell’aia (anche se, per la precisione, rimanda in particolare a un tacchino), in italiano lo si è andati a sostituire con l’onomatopea tipica di parla troppo: Blabla.

Qualche volta però non è sufficiente sostituire l’espressione originale con la sua traduzione italiana, seppur corretta, come ci dimostra l’esempio riportato qui sotto, tratto dal film Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, quarto capitolo della saga dedicata al celeberrimo archeologo. Quando il protagonista elimina un assalitore, lo studente interpretato da Shia LaBeouf, stupefatto, gli chiede, in inglese:

  • You’re a professor? 
  • Part-time.

Mentre in italiano chiede:

  • E tu saresti un professore?
  • Qualche volta.              

La traduzione è corretta? Sì. È anche di impatto? Non troppo.          
L’ironia di quel “part-time” pronunciato dal professore non riesce, infatti, a essere veicolato dalla traduzione “qualche volta” che, per quanto corretta, risulta -come dire?- scolastica. E se è vero che il film è ambientato nel 1957 e quindi mantenere il termine “part-time” sarebbe risultato anacronistico, è altresì vero che questa soluzione risulta fiacca. Al contrario, invece, la scelta traduttiva operata per la domanda dello studente lascia trasparire perfettamente il senso di stupore veicolato dalla scena; in questo caso, addirittura, la domanda funziona meglio in italiano che in inglese dove, tradotta letteralmente, lo studente chiede semplicemente: “Sei un professore?”

Come abbiamo visto dunque, il lavoro del dialoghista adattatore non è assolutamente semplice: è un costante gioco di equilibri tra creatività e fedeltà all’originale, attenzione alle immagini e adattamento alla cultura di arrivo. A volte ne escono dei capolavori indimenticabili, a volte (decisamente) no. Si potrebbe obiettare che non è sempre interamente colpa dell’adattatore, ma questa è un’altra storia…

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Per questo appuntamento di aprile abbiamo deciso di concentrarci su due pellicole che ci hanno particolarmente colpito per la qualità del doppiaggio.
Essendo questo infatti uno dei settori in cui la cura della voce è fondamentale per poter svolgere al meglio il proprio lavoro, abbiamo pensato che aprile fosse il mese giusto per celebrarlo. E se vi state chiedendo: “perché avete scelto proprio questo mese?”, ve lo spieghiamo subito: aprile è il mese in cui si celebra la giornata mondiale della voce, un’occasione per ricordare a tutti di prendersi cura di questo strumento così importante per l’essere umano.

Arianna consiglia: “Midnight in Paris” (2011) 

Regia: Woody Allen 
Con: Owen Wilson, Marion Cotillard, Rachel McAdams, Tom Hiddleston, Kathy Bates 
Doppiaggio: Midnight in Paris 
Genere: Commedia/Romantico 
Durata: 1h34 minuti 

Trama: Lo sceneggiatore e aspirante scrittore Gil si trova in vacanza a Parigi con la futura sposa e i futuri suoceri. Da sempre affascinato dalla Ville Lumière e dal suo passato, Gil finirà per caso (o forse per magia) nella Parigi degli Anni Venti, l’anima della cultura europea dell’epoca. Notte dopo notte, guidato dall’affascinante Adriana, Gil scoprirà quindi pregi e difetti dei Ruggenti Venti, facendo nel mentre la conoscenza di artisti del calibro, tra gli altri, di Hemingway, Dalì, Picasso e Fitzgerald. 

Lo consiglio perché… Chi di noi non ha mai pensato “come mi sarebbe piaciuto nascere in un’altra epoca” per vivere questo o quell’avvenimento? Con questo film si ha finalmente l’occasione di vivere questa esperienza, ritrovandosi catapultati tra artisti di cui abbiamo soltanto sentito parlare o che abbiamo soltanto avuto occasione di studiare. Allen ci porta in un mondo vecchio, ma allo stesso tempo nuovo, per farci capire che se è vero che nessuno si sente completamente felice dove si trova, allo stesso tempo è altresì vero che non abbiamo alcun modo di sfuggire a ciò che siamo. Con il supporto di un cast a dir poco strepitoso, di un’ambientazione da favola (Parigi, descritta come solo Allen sa fare), di una colonna sonora che resta nel cuore, e di un doppiaggio magistrale, questo film vi travolgerà. E sarà bellissimo. 

Trailer: Midnight in Paris 
Disponibile su: Now TV (Cinema) 

Silvia consiglia: “Zootropolis” (2016) 
Regia: Byron Howard, Rich Moore, Jared Bush 
Con le voci di: Ilaria Latini, Alessandro Quarta, Massimo Lopez, Roberto Fidecaro
Doppiaggio:
Zootropolis 
Genere: Animazione 
Durata: 1h48m 

Riconoscimenti: Premio Oscar al Miglior Film d’Animazione 

Trama: Un mondo animale non più diviso tra prede e predatori ma armoniosamente coabitato da entrambi. Nella capitale Zootropolis, la volpe Nick sbarca il lunario usando una serie di espedienti, mentre la coniglietta Judy, che sogna di diventare una poliziotta, si ritrova a essere una semplice ausiliaria del traffico, perché se è vero che non ci sono più predatori, gli stereotipi sono ancora ben presenti. Toccherà proprio a questa improbabile coppia risolvere il mistero dei 14 animali scomparsi e sventare i piani di chi vuole impossessarsi del potere. 

Lo consiglio perché… Tra i successi del doppiaggio italiano non posso non menzionare il doppiaggio di film di animazione, che fa sognare generazioni di grandi e piccini. La Disney presta da sempre moltissima attenzione all’adattamento della voce e degli elementi culturali nei suoi prodotti, e Zootropolis è un film che mi è rimasto nel cuore anche per questo. Oltre alla trama frizzante e coinvolgente, l’ambientazione in un mondo di fantasia e la presenza di animali parlanti ha permesso al doppiaggio di spaziare tra i diversi accenti italiani e di rendere i personaggi ancora più vivi e più divertenti, tra un bue muschiato toscano, una donnola romana e dei toporagni siciliani, a cui si aggiungono riferimenti a serie e film cult che tutti noi possiamo provare a riconoscere, e personaggi come il bradipo Flash che secondo me dimostrano di essere assolutamente iconici. 

Trailer: Zootropolis 
Disponibile su: Disney+  

RestART consiglia…

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Marzo è il mese della primavera, dei fiori che sbocciano (con grande rammarico degli allergici al polline) e della notte che per eccellenza celebra il cinema: 
                                                   ✨ la notte degli Oscar ✨
Che siate o meno tra quelli che seguono l’evento in diretta, organizzando serate a tema con gli amici e facendo pronostici su vincitori e vinti, sicuramente vi sarà capitato sia di provare grande soddisfazione per la vittoria dell’attore o dell’attrice che preferivate, sia di rimanere delusi quando il film che volevate non si è aggiudicato la statuetta.
Ecco perché abbiamo ritenuto giusto citare nei nostri consigli cinematografici del mese sia un film vincitore dell’ambito premio, sia una pellicola che, al contrario, non ce l’ha fatta.
D’altra parte, ciò che conta davvero è che il film emozioni gli spettatori…

Arianna consiglia: “The Fabelmans” (2022)

Regia: Steven Spielberg
Con: Michelle Williams, Paul Dano, Gabriel LaBelle
Doppiaggio: The Fabelmans
Genere: Drammatico
Durata: 2h 31 minuti 

Trama: Ambientato tra l’Arizona e la California tra gli anni ‘50 e i ‘60, il film racconta la storia della famiglia Fabelman, e in particolare quella del piccolo Sammy. Spronato da un lato dall’amore della madre per l’arte in tutte le sue sfaccettature e dall’altro dal fascino della tecnologia instillatogli dal padre, Sammy trova nel fare cinema la sua strada. Quello stesso cinema che gli sarà ancòra di salvezza una volta scoperto un grande segreto familiare… 

Lo consiglio perché… Sarebbe una grave mancanza da parte di un’appassionata di cinema come me non menzionare uno dei film che mi ha colpito negli ultimi anni. È vero, questo è il mese degli Oscar e il film di Spielberg non riuscì a portare a casa nessuna statuetta, ma cosa importa? La pellicola emoziona e coinvolge lo spettatore, che si ritrova trasportato nell’intimità del mondo di Spielberg, che con questa storia autobiografica si racconta come regista, autore e figlio. Commovente ed emozionante, il film è una vera e propria dedica d’amore al cinema. 

Trailer: The Fabelmans – Trailer Ufficiale Italiano
Disponibile su: Amazon Prime Video

Silvia consiglia: “Il caso Spotlight” (2015) 

Regia: Tom McCarthy
Con: Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams
Doppiaggio: Il caso Spotlight
Genere: Thriller, Giallo
Durata: 2h 08 minuti
Premi: Miglior Film, Miglior Sceneggiatura Originale

Trama: Nell’estate 2001 il neodirettore del “Boston Globe”, Marty Baron, per prima cosa incarica il team Spotlight di indagare sulla notizia di cronaca di un prete locale accusato di aver abusato sessualmente di decine di giovani parrocchiani nel corso di trent’anni. Baron è infatti convinto che non soltanto le alte sfere sapessero degli abusi, ma che abbiano fatto tutto ciò che era in loro potere per insabbiare la questione. Ne nasce così un’inchiesta che porta alla luce numerose situazioni analoghe in ambito ecclesiale. 

Lo consiglio perché… Alzandomi dalla poltrona del cinema alla fine del film, ricordo di essermi sentita vuota, arrabbiata e commossa allo stesso tempo. Mi sono resa conto istantaneamente di aver appena finito di vedere un film che mi avrebbe segnata, che non avrei dimenticato facilmente. E così è stato. A distanza di quasi 10 anni, continuo ad essere convinta che questo film sia uno di quelli che si sia davvero meritato la famosa statuetta come Miglior Film e Miglior Sceneggiatura originale. Tratta un tema complesso e rischiosissimo in modo estremamente delicato, toccante e coinvolgente, riuscendo a scioccare, indignare ed emozionare senza scadere in esplicitazioni visive e in dettagli troppo abbondanti, dimostrando un grande rispetto e un grande equilibrio. 

Trailer: Il Caso Spotlight – Trailer Ufficiale Italiano

Disponibile su: Amazon Prime Video 

RestART consiglia…

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Eccoci a un nuovo appuntamento con la nostra rubrica di consigli, che questo mese non poteva che essere dedicata all’amore, nel mese che vede la festa degli innamorati. Ricordandovi che questi suggerimenti non vogliono in alcun modo essere una critica cinematografica, ma soltanto dei consigli da parte di persone appassionate di cinema, eccovi, con colpevole ritardo, le nostre scelte per una serata a tema amore, a prescindere che la passiate da soli o in compagnia: 

Arianna consiglia: “Prima o poi mi sposo” (2001)

Regia: Alan Shankman
Con: Jennifer Lopez, Matthew McConaughey
Doppiaggio: Prima o poi mi sposo
Genere: Commedia romantica
Durata: 1h 44 minuti 

Trama: L’italoamericana Mary Fiore è una rinomata wedding planner così dedita al proprio lavoro che alla propria vita sociale preferisce l’impegnarsi anima e corpo nell’organizzare il più bel giorno della vita delle coppie di sposi che si rivolgono alla sua agenzia. Ecco, quindi, che il padre di Mary, preoccupato per il futuro della figlia, le organizza un incontro con un giovanotto dai modi spesso imbarazzanti. Un giorno però, Mary incontra per caso Steve, un giovane e attraente medico che la salva da un cassonetto che sta per andarle addosso. L’attrazione tra i due è evidente, ma potrà mai succedere qualcosa tra i due se Steve si rivela lo sposo del prossimo matrimonio organizzato da Mary?  

Lo consiglio perché nel mese di San Valentino, come non consigliare uno dei miei film d’amore preferiti di sempre? Se come me siete appassionati di commedie romantiche, non potete assolutamente perdervi questa perla con uno dei re della commedia romantica anni 2000, Matthew McConaughey. La storia potrà sembrarvi scontata (e forse lo è), ma vi assicuro che, come ogni rom-com che si rispetti, vi farà venire voglia di innamorarvi. Cosa dire su questa pellicola per non svelare troppo? Che la guardiate in coppia o meno, accompagnate la visione con una ciotola di M&Ms… poi capirete. 

Trailer: PRIMA O POI MI SPOSO (film 2000) TRAILER ITALIANO (youtube.com) 

Disponibile su: Amazon Prime Video 

 

Silvia consiglia: “La La Land” (2016)

Regia: Damien Chazelle
Con: Ryan Gosling, Emma Stone, J.K. Simmons
Doppiaggio: La La Land
Genere: Sentimentale, Musicale, Drammatico
Durata: 2h 08 minuti

Trama: Nella città dei sogni, Los Angeles, i due aspiranti artisti Mia e Sebastian sbarcano il lunario con lavori che non li soddisfano appieno: Mia serve il caffè agli attori e alle attrici con cui spera un giorno di condividere il set, mentre Sebastian suona musica jazz in un piano bar, sognando di aprire un locale tutto suo. Accomunati da una grande passione per l’arte, i due in breve tempo si innamorano, ma proprio quando tutto inizia ad andare per il verso giusto, si troveranno a fare i conti con le rispettive ambizioni professionali. 

Lo consiglio perché nel pieno della stagione dei grandi premi del cinema e a poche settimane dagli Oscar, il mio consiglio del mese è La La Land, uno dei miei film preferiti. Grazie alle musiche e alle coreografie coinvolgenti, ai dialoghi, ai costumi e ai colori, è in grado di traghettarci in un mondo in cui l’amore romantico si intreccia con quello per i propri sogni, di farci ballare e cantare con i protagonisti, di farci gioire e piangere con loro, e di mostrarci un epilogo secondo me perfetto. 

Un inno ai sognatori che è stato la mia colonna sonora per moltissimo tempo, e che quindi consiglio di vedere e di assaporare in tutta la sua poesia. 

Riconoscimenti: 14 candidature e 6 vittorie ai Premi Oscar 2017 (tra cui Miglior regista, Miglior Attore Protagonista, Miglior Attrice Protagonista e Miglior Colonna Sonora)

Trailer: La La Land – Trailer Italiano Ufficiale (youtube.com) 

Disponibile su: Amazon Prime Video, Rai Play, Netflix, Tim Vision 

A bocca chiusa

A bocca chiusa

Tre settimane.

Tre settimane di bocche chiuse e di microfoni spenti.

È passato quasi un anno ormai da quelle tre settimane di silenzio quasi assoluto, per non dire assordante che hanno quasi completamente fermato le sale doppiaggio italiane; per chi non lo ricordasse o perché chi non lo sapesse (Davvero? Anche se non lavorate nel settore, non ricordate la polemica sulla mancata uscita della versione doppiata del finale di The Last Of Us?) tra il febbraio e il marzo dell’anno scorso, le sale doppiaggio si sono fermate a causa di un lungo sciopero di circa tre settimane che ha visto coinvolte quasi tutte le maestranze che operano nel settore doppiaggio: dai doppiatori (da cui l’intera protesta è scaturita) ai fonici, agli assistenti al doppiaggio; eccezion fatta per poche e generalmente piccole realtà, la filiera si è fermata.

Alla base dello sciopero, c’era una richiesta: quella di tornare al tavolo per discutere il rinnovo del CCNL Doppiaggio, scaduto ormai da 15 anni, eppure ancora vigente; la contrattualistica non era andata di pari passo con il cambiamento e le maestranze del settore si trovavano a non essere più tutelate. Come è stato messo in chiaro da molte voci in numerose interviste rilasciate durante le tre settimane di sciopero, la questione andava però anche al di là della mera protezione personale: oltre alla richiesta di una migliore retribuzione e di tempistiche di lavoro più umane, infatti, per molti dei doppiatori coinvolti nello sciopero, la questione riguardava anche la dignità e la qualità del doppiaggio italiano, un settore che è sempre stato un vanto del nostro Paese. Se è vero che le ultime ricerche dimostrano che più dell’80% degli italiani predilige la visione di prodotti doppiati, è altresì vero, infatti, che negli ultimi anni si è riscontrato un calo della qualità del doppiaggio; un generale impoverimento che in molti hanno riscontrato non soltanto nella qualità dei dialoghi, ma anche nel lessico utilizzato e persino nella qualità dell’audio fornito.

Una situazione, questa, figlia però di un lento cambiamento che ha stravolto la filiera; mentre, negli anni ’90,  la lavorazione dell’edizione italiana di un film (comprensiva di adattamento dialoghi e doppiaggio) poteva essere anche di un mese e mezzo, in tempi più recenti, le tempistiche per lo stesso film si sono ridotte a mere due settimane, tre quando va bene. Viene quindi da sé che tutto ciò che prima veniva curato nei minimi dettagli (dall’adattamento dialoghi all’interpretazione dei doppiatori in sala), adesso è costretto a passare in secondo piano per lasciare spazio a una ricerca di aderenza alla voce e al senso originali che, in un momento non meglio specificato di questo processo, sono diventati gli elementi più importanti a cui attenersi.

E questo ci porta, a cascata, a parlare del secondo grande motivo dietro lo sciopero: ci diciamo sempre che la macchina non potrà mai rimpiazzare del tutto l’uomo perché soltanto l’uomo è capace di provare (e provocare) emozioni, ma se la qualità cala in maniera così drastica rendendo certi prodotti asettici, cosa impedirà all’intelligenza artificiale di rimpiazzare gli umani nella filiera? E a questo proposito, come si frena la sempre più preponderante presenza della macchina all’interno di un settore come quello del doppiaggio? Da sempre i doppiatori, per contratto, firmano una cessione dei diritti della propria voce che, finora, è servita a garantire la libertà alle case di produzione di utilizzare le voci doppiate a fine di marketing (si pensi ad esempio ai tagli operati al video per realizzare i promo dei prodotti); ma se nessuno si impegna a contrastare l’uso indiscriminato dell’IA, di cui già ci sono esempi online, cosa impedirà ad aziende e persino a privati di sfruttare le voci dei doppiatori per ulteriori fini? Può sembrare un problema per il futuro, ma è purtroppo un problema del presente: basti chiedere a Christian Iansante, voce, tra gli altri, del personaggio di Rick nella serie Rick e Morty, che ha trovato online degli estratti del cartone doppiati con la sua voce che lui però non ha mai registrato. E perché fermarsi a questo se l’IA sarà addirittura in grado di utilizzare sample di voci esistenti per crearne una nuova da poter usare indiscriminatamente?

Sebbene lo sciopero sia durato “solo” tre settimane, questo è bastato per riportare le parti al tavolo e così, dopo mesi di riunioni, il 6 dicembre 2023 si è giunti finalmente a un accordo, con la stipula del nuovo CCNL Doppiaggio, che potete trovare qui, sul sito dell’ANICA, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali: Rinnovato il CCNL Doppiaggio.    
Nel comunicato stampa che ne ha dato notizia, il contratto viene definito “innovativo e adeguato ai tempi, articolato e migliorativo per le parti coinvolte. [La ratifica di suddetto contratto] adegua finalmente la normativa contrattuale del Settore Doppiaggio ai numerosi cambiamenti, anche tecnologici, avvenuti negli anni, con l’obiettivo di renderla quanto più attuale e concreta, esigibile e innovativa. Tra le novità qualificanti del nuovo accordo, l’inserimento di un intero articolo dedicato all’intelligenza artificiale, e l’aggiunta di un recupero salariale a fronte di una riduzione dei ritmi di lavoro, a favore di un miglioramento sostanziale della qualità della prestazione e quindi del prodotto finale.

Adesso che il problema sembra essere parzialmente risolto, almeno a livello normativo, in realtà, la domanda che la gran parte del settore si pone è la stessa che in molti si ponevano con l’accordo ponte precedente: quante realtà del settore si atterranno davvero alle nuove regolamentazioni, soprattutto per quanto riguarda le tariffe? A fronte di quanto ottenuto, la situazione rimarrà invariata o qualcosa cambierà davvero? 
        
Ai posteri (o forse semplicemente a noi tra qualche mese) l’ardua sentenza.

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